Se pensate che a fare la differenza tra una super sportiva ed un’auto normale sia solo un motore esagerato e un buon numero di cavalli vi sbagliate. Dal 1952 Colin Chapman ci insegna l’esatto contrario. La filosofia Lotus si basa sull’estremo contenimento dei pesi, sull’eliminazione di qualsiasi componente superfluo e sull’utilizzo di telai estremamente raffinati.
La Elise, uno dei modelli di maggior successo e più venduti, è l’incarnazione perfetta del pensiero di Chapman. È nel 1996 che viene presentata questa piccola spider, nata dall’idea dell’imprenditore italiano Romano Artioli, proprietario all’epoca di Lotus Cars e di Bugatti Automobili. La volontà era quella di risollevare il marchio Lotus, finito ormai nell’oblio. L’idea di base era la Lotus Seven, sportiva pura, addirittura a ruote scoperte.
L’intento era di creare una vettura con le stesse caratteristiche dinamiche ma che fosse più fruibile ed adatta ad un utilizzo normale. Iniziò quindi lo sviluppo del progetto M111. Il designer Julian Thomson, ispirandosi a classici del passato, tra cui la bellissima Ferrari Dino 246, dette forma alla carrozzeria in vetroresina. Il telaio, vera e propria opera d’arte di questo modello Lotus, venne interamente costruito in alluminio, proprio per seguire l’intento della massima leggerezza.
La peculiarità di questo telaio è di non essere saldato come la maggior parte dei telai automobilistici. La scelta seguita dalla Lotus è di utilizzare estrusi incollati, soluzione vista soltanto in ambito aeronautico. Questo sistema consente di ridurre ulteriormente i pesi rispetto ad una tradizionale saldatura e di mantenere intatte le proprietà meccaniche dei materiali. Inoltre è notevole anche il vantaggio di una migliore distribuzione degli sforzi sulle parti aggiuntate, a tutto beneficio della tanto ricercata rigidità torsionale.
Il tutto per appena 68 kg. A muovere la vettura pensava un motore Rover 1.8 16 valvole, dotato di appena 120 cavalli e noto per l’inaffidabilità. Nonostante la modesta potenza, portandosi dietro solo 720 kg, l’Elise riusciva ad ottenere prestazioni da vera sportiva grazie ad un rapporto peso-potenza estremamente favorevole. L’Elise che vi presentiamo in questo servizio è una seconda serie, nel 2001 venne rivisto il design esterno, furono migliorate le finiture interne e il comfort a bordo. Il telaio in alluminio e le caratteristiche meccaniche rimasero praticamente intatte. Un passaggio importante si ha nel 2004, quando viene finalmente riconosciuta l’inaffidabilità dei motori Rover che fino ad allora avevano equipaggiato la piccola Lotus.
A sostituire il vecchio propulsore ci pensa la Toyota con un 1.8 costruito in collaborazione con Yamaha che equipaggia anche la Celica TS. Dotato di testata in alluminio, fasatura e alzata variabile delle valvole è in grado di erogare ben 192 cavalli a 8000 giri al minuto. Finalmente l’Elise è dotata di un motore affidabile e veramente prestazionale. In questo modo la piccola inglesina si trasforma in un vero animale da pista. Il peso è sempre contenuto, siamo a quota 860 Kg, con i suoi 192 cavalli ottiene un rapporto peso-potenza eccezionale; un cavallo per 4,48 Kg. Il tutto per 240 Km/h di velocità massima e uno 0-100 coperto in appena 5.2 secondi.
Non certo dei record, certamente, ma quanto basta per sorpassare su una stradina di montagna gran parte delle pesanti supercar equipaggiate con motori ben più potenti. Quella che vi mostriamo è equipaggiata proprio con questo propulsore Toyota. Ci diamo appuntamento con Alessandro Bartolini, un avvocato di Prato appassionato di Lotus e fortunato possessore di questa fantastica Elise. Edoardo e Marco questa volta scelgono uno scenario particolare, si tratta dell’ ex complesso industriale Italo Bini situato in via Pistoiese 138 a Prato.
Non credevo che un’industria abbandonata si prestasse così bene ad accogliere un servizio fotografico di un’automobile. Visti i risultati mi sbagliavo. Lo ammetto, la Lotus Elise è un mio grande amore, quindi sono di parte. Credo però che sia impossibile non rimanere affascinati dalle linee estremamente sportive e morbide che la compongono. Solamente l’altezza complessiva di un metro e venti da terra suscita emozione.
Se poi si aggiungono le prese d’aria sul cofano anteriore, l’estrattore posteriore, il parabrezza avvolgente come i prototipi da corsa e i bellissimi cerchi in lega che racchiudono l’impianto frenante con dischi forati, si ottiene un mix di fascino unico. Mi prendo un po’di tempo per girare intorno alla macchina e chiacchierare con Alessandro.
Mi racconta che il suo esemplare è del 2006, anno in cui la seconda serie con motore Toyota venne leggermente rivista in due particolari. Al posto del tradizionale comando dell’acceleratore a cavo montarono un moderno sistema elettronico fly-by-wire e i gruppi ottici posteriori furono dotati di luci a LED. Come optional da sottolineare è l’adozione del pacchetto “touring pack”, che fondamentalmente comprende i sedili in pelle con imbottiture migliorate per renderla comoda anche per lunghi tragitti. L’insieme della vernice “night fall blue” abbinata ai sedili color crema è veramente d’effetto. Noto subito uno strano particolare al posteriore, cioè una doppia pinza del freno.
Nonostante il peso molto contenuto e la dinamica di marcia eccezionale, la frenata è sempre stata un punto debole per l’Elise. Per eliminare il difetto, con una semplice modifica, su questo esemplare, sono state montate al posteriore le pinze dei freni dell’anteriore e le pinze originali sono rimaste li, azionate solo dal freno a mano. Questa soluzione di avere una doppia pinza al posteriore, una per il freno a mano e una per la frenata normale è ormai abitualmente adottata su diverse supercar.
E’il momento di salire in macchina per metterla in posa. Salire è il termine meno appropriato visto che devo praticamente scendere al livello del suolo. Con la mia altezza di 1.85 sono costretto a diverse contorsioni per scavalcare il grande brancardo e calarmi sul sedile, che è bene lasciare tutto indietro per facilitare l’accesso. Una volta dentro la posizione è sorprendentemente comoda, i sedili del touring pack si rivelano adeguati anche ad un uso non estremo.
Afferrato il piccolo volante ci si sente tutt’uno con la macchina, proprio come deve essere su una sportiva. Dentro a fare da padrone è l’alluminio, presente praticamente ovunque: cambio, pedali, pavimento, tunnel centrale, parte bassa del cruscotto. Il volante è rivestito in pelle sulla corona e in alcantara nella parte centrale. Anche la parte alta del cruscotto sotto il parabrezza è rivestita di questo pregiato materiale.
Giro la chiave, il motore Toyota si sveglia e fa sentire in modo molto deciso la sua voce. Lo scarico non è quello di serie, monta uno stage II. Molto bello anche il particolare dei due terminali che puntano verso il basso. Nonostante le gomme anteriori da 195 e l’assenza del servosterzo, non si fa alcuna fatica a fare anche le più strette manovre, grazie al peso molto contenuto. La scelta di non adottare questo dispositivo si traduce in un contatto con la strada totale, senza filtri.
Non per nulla sulla moderna Alfa Romeo 4C hanno optato per la medesima soluzione. Tutto l’insieme è finalizzato alle massime prestazioni, non bisogna aspettarsi alcun tipo di comfort. L’abitacolo è molto caldo, l’aria condizionata è un optional irrinunciabile. Il motore è dietro le spalle, a separarci da esso vi è un sottilissimo strato di isolante. Il radiatore è posto anteriormente e nei grossi brancardi scorre il liquido di raffreddamento a temperatura molto elevata.
Il rumore penetra nell’abitacolo in modo molto deciso, se volete poggiare il portafoglio o il cellulare non c’è praticamente posto. Il bagagliaio è ridotto ad una piccola vasca alla quale si accede aprendo il cofano motore, (non metteteci il pesce rosso se non lo volete trovare lesso).
È sufficiente giusto per un week end fuori in due. Poco importa, perchè la Lotus Elise è ormai una delle poche macchine in grado di regalare sensazioni di guida autentiche ed è fantastica così come è. E’l’ora di terminare il servizio, salutiamo Alessandro e la bellissima Lotus che se ne va con un rumore assordante che rimbomba tra i muri del vecchio complesso industriale.
Testo: Leonardo Stefani
Foto: Edoardo Mascalchi, Marco Dellisanti